5 cose che non sapevi del programma della Premier League Primary Stars

Il quinto anniversario di uno dei progetti caposaldo della massima lega calcistica inglese si presenta come occasione perfetta per scoprirne dettagli, aspetti e risultati ottenuti. Un modello vincente da replicare al più presto anche nel panorama italiano.

Da sempre il mondo della scuola è, parlando delle proposte di responsabilità sociale realizzate dai club, una specie di comfort zone. Che sia la visita di un giocatore, una giornata allo stadio o un torneo sul campo, l’entusiasmo e il coinvolgimento generati da simili iniziative tra i giovani partecipanti sono quasi sempre sinonimo di successo.

Un concetto comunque abbastanza relativo, questo. Perché se è vero che la risposta sarà, come detto, quasi sempre estremamente positiva, dall’altra parte bisogna garantire un certo ritorno anche dal punto di vista educativo, se non fosse per il contesto con il quale ci si interfaccia e le potenzialità a disposizione dei club per raggiungere questo obiettivo.

In altre parole, per quanto la visita di un giocatore/giocatrice o un giro allo stadio possano rappresentare momenti unici per gli studenti, non è pensabile limitare tutto a ciò, peraltro convincendosi dell’idea che incontri simili possano da soli garantire apprendimento a lungo termine, impatto e valore sociale.

Nel nostro calcio non mancano esempi già capaci di rispettare quest’ultimo punto (‘Io Tifo Positivo’ per citare uno dei più conosciuti, ma anche i programmi di Juve e Roma ad esempio). Eppure, parlando di eccellenza in questo campo, dobbiamo “volare” in Inghilterra e parlare di uno dei progetti chiave promossi dalla Premier League: Primary Stars.

1) COS’È PRIMARY STARS?

Si tratta di un programma lanciato nel 2017 dalla Premier League Charitable Fund (l’organizzazione benefica della Lega inglese) e rivolto a tutte le scuole di Inghilterra e Galles. La mission è quella di sfruttare l’appeal del campionato più spettacolare del mondo e dei suoi protagonisti per ispirare ragazzi e ragazze delle scuole primarie a rimanere attivi e sviluppare importanti life skills.

Un progetto che, insieme ad altre proposte simili (Kicks e Inspires, focalizzati rispettivamente sull’inclusione sociale e la scuola secondaria), rappresenta l’espressione concreta della visiondell’organizzazione che vede il calcio come un game-changer, mezzo attraverso cui le persone possono esprimere il proprio potenziale e così contribuire allo sviluppo delle comunità di cui fanno parte.

2) COME SI STRUTTURA E QUALI SONO GLI OBIETTIVI?

Gli obiettivi specifici del progetto sono vari, legati agli ambiti di intervento in cui intende fare la differenza. Innanzitutto, aumentare l’interesse e la confidencedei docenti nell’insegnare l’educazione fisica a scuola. Poi, dare l’opportunità a tutti i partecipanti di prendere parte ad attività sportive (competitive e non) di qualità. E ancora, offrire ai giovani l’occasione di sviluppare interesse e abilità in materie classiche (inglese e matematica), così come acquisire competenze trasversali utili nel corso della vita (anche e soprattutto attraverso esperienze di cittadinanza attiva). Il tutto, infine, cercando sempre di estendere le opportunità al di fuori del mondo scolastico per dare continuità all’esperienza.

Nel pratico, quindi, il programma prevede l’organizzazione di innumerevoli attività e manifestazionisportive, ma anche workshop, club di lettura, progetti, lezioni frontali e assemblee che vanno a toccare questioni di rilevanza sociale come bullismo, sostenibilità ambientale, salute mentale, inclusione e diversità

3) CHE IMPATTO HA AVUTO IN QUESTI ANNI?

Abbiamo definito in apertura il progetto “vincente”. A dirlo sono soprattutto i risultati che ha saputo collezionare in questi anni, testimonianza dell’impatto avuto. Qualcosa che è alimentato dalle venti squadre di Premier League, ma anche da quelle delle serie minori (tutte attraverso le loro organizzazioni comunitarie). Un impegno diffuso che dal 2017 ha permesso di raggiungere oltre l’80% delle scuole primarie di Galles e Inghilterra (più di 18,000).

Numeri che si traducono anche inefficacia di quanto proposto. Quasi l’80% dei docenti partecipanti al progetto ne ha riconosciuto il valore in termini di aumentata qualità nel proprio insegnamento dell’educazione fisica. Dato che è invece superiore parlando del livello di coinvolgimento (91%) e capacità motorie degli studenti.

Ma come detto, il programma si pone come strumento educativo a 360°, con risultati che rispecchiano quelli appena riportati in aree quali, ad esempio, un maggiore interesse nella lettura e nella matematica (79%), un’aumentata comprensione degli aspetti legati alle discriminazioni (72%) o una miglior dimostrazione di importanti capacità come resilienza o fiducia in sé stessi (93%).

4) QUALE IL RUOLO DELLA LEGA?

Uno degli aspetti più interessanti, soprattutto per la mancanza di un sistema simile nel nostro Paese, è il ruolo della Premier League. Da vero e proprio facilitatore, con un team di lavoro dedicato che coordina, controlla e supporta l’attività di tutti i club.

Tra le principali, la distribuzione dei fondi, organizzati in cicli di tre anni, e concessi periodicamente sulla base dell’impegno che ogni società intende assumersi (rispetto alle proprie risorse e possibilità).

C’è poi l’organizzazione di opportunità di formazione continua per lo staff dei club e momenti di condivisione tra gli stessi, nell’idea che lo scambio di buone pratiche sia la base per continuare a migliorare.

E ancora, la Lega è anche la prima a intercettare e rispondere su temi socialmente rilevanti, indirizzando l’impegno di tutto il movimento. Ne è una prova la serie di interventi promossi sul tema del razzismo come parte della campagna ‘No Room for Racism’. Oppure, i focus su sostenibilità ambientale e benessere psicofisico che saranno di estrema rilevanza per il prossimo triennio.

5) COME FUNZIONA PER I CLUB?

Le operazioni a cui accennavamo poco fa sono ovviamente portate avanti dai club all’interno delle scuole primarie del territorio. Istituti a cui viene offerto un servizio (gratuito o dietro corrispettivo che normalmente rientra nei fondi a disposizione garantiti dal governo) costruito sulla base dei loro bisogni o interessi.

Il programma è quindi gestito dai gruppi di lavoro che ogni club ha a disposizione (più o meno strutturati in base alle risorse), e si concretizza in interventi che puntano a raggiungere gli obiettivispecifici indicati alla Premier League nel bando di partecipazione (ad esempio, il numero di competizioni sportive o i progetti di cittadinanza attiva). Questo, ovviamente, dando possibilità ai club di “scegliere” i temi che si vogliono affrontare: solitamente sono in comune tra molti (soprattutto in occasione di ricorrenze nazionali), ma possono anche andare a rispondere a particolari esigenze della propria comunità.

Le attività vengono quindi pianificate e realizzate per periodi più o meno ripetuti (alcuni interventi si possono consumare in un’occasione, altri devono durare almeno sei settimane), curandosi di misurare l’impatto avuto attraverso questionari o casi studio, ma anche fornendo dati quantitativi di natura demografica o partecipativa.

EXTRA: UN ‘PRIMARY STARS’ ITALIANO È POSSIBILE?

Si tratta ovviamente di un lavoro complesso e articolato, che necessita di una struttura di lavoro importante soprattutto se si punta ad offrire una proposta ricca (ci sono club che contano staff di oltre 20 persone). E questo potrebbe essere il primo grande ostacolo nell’idea di replicare qualcosa di simile in Italia, dove pochissime realtà (forse nessuna) sono così organizzate. Qualcosa che va ad aggiungersi alla mancanza oggettiva di un sistema al vertice capace di coordinare e permettere un simile lavoro (difficile contare solo sulle casse delle scuole).

Si potrebbe partire da ciò che già c’è (programmi di successo non mancano), provando a combinare queste buone pratiche in un format capace di continuare a valorizzarle scegliendo poche ma significative aree di intervento comuni a tutti: partecipazione sportiva, ma anche i temi legati al razzismo dove potrebbe inserirsi bene Keep Racism Out.

Per ovviare al problema della carenza di personale, lo staff del settore giovanile potrebbe dare un buon contributo, soprattutto se formato a dovere. Una questione, questa della formazione, da estendere alle università, che potrebbero iniziare a inserire moduli legati ad interventisocioeducativi(magari sviluppati insieme ai club stessi, come peraltro fanno molti di Premier).

Infine, punto di maggior importanza è quello legato ai fondi per la sostenibilità del progetto. E se i club devolvessero l’1% delle proprie entrate annuali per simili iniziative? O se si creasse un fondo ad hoc insieme al MIUR(che potrebbe creare una collaborazione permanente con i promotori del progetto, come peraltro succede anche in Inghilterra)? Sicuramente,investimenti a buon rendere, visto l’impatto e il possibile ritorno che questo impegno sui giovani potrebbe generare.