Responsabilità sociale e reputazione nel calcio: intervista a Simone Solidoro di Zwan

La buona reputazione è spesso annoverata tra i fattori conseguenza di un impegno responsabile, pur rimanendo un concetto difficile da concretizzare e misurare. Zwan, agenzia specializzata proprio in marketing reputazionale, sta provando a sovvertire questa situazione, con interesse anche per il mondo del calcio. Ne abbiamo parlato con Simone Solidoro, Reputation Manager dell’organizzazione. 

Perché un club calcistico, o qualsiasi azienda, dovrebbe occuparsi di responsabilità sociale? Una domanda semplice, forse proprio per questo spesso lasciata in secondo piano. Eppure, chiunque voglia intraprendere un percorso simile, dovrebbe partire da qui. Un po’ come insegna Simon Sinek, autore di best seller internazionali sul tema: “Start with Why”. Insomma, bisognerebbe partire dal perché si fa qualcosa, e da qui dare forma alla propria idea definendo come e cosa fare per esprimerla al meglio.  

Provando a declinare questo concetto nel nostro contesto d’interesse, la letteratura scientifica è concorde nell’indicare più di un motivo per cui i protagonisti della football industry dovrebbe fare dell’agire responsabile una delle proprie ragioni d’esistere. Nello specifico sette, numero suggerito da uno studio oramai pietra miliare per gli addetti ai lavori: popolarità e visibilità globale, influenza unica sui giovani, effettiva promozione del benesseresocialità intrinseca, abbattimento quasi naturale di barriere culturali, predisposizione a sensibilizzare sull’ambiente e, infine, gratificazione immediata.  

Numerose ragioni, quindi, che fanno del calcio uno dei contesti in cui la responsabilità sociale può trovare possibilità di espressione come in pochi altri ambiti. Il tutto, nell’ottica di portare benefici sia alla comunità in cui l’organizzazione opera, che alla società stessa.  

Tra questi obiettivi ritroviamo spesso la “reputazione”. In altre parole, la credibilità e l’affidabilità trasmessa, nonché la considerazione che gli altri possono nutrire nei confronti di un soggetto o ente. Un elemento, quindi, risultante dall’attività responsabile di un’organizzazione, certificandone e validandone in qualche modo l’impegno. Eppure, si tratta di un concetto rinomatamente non semplice da percepire, quantificare e concretizzare. Cos’è, in concreto, la reputazione? Come sapere se i progetti realizzati stanno effettivamente contribuendo alla costruzione di questo elemento? In che misura? E sulla base di quali fattori? 

A rispondere a queste domande ci sta provando Zwanagenzia specializzata in marketing reputazionale, che da oltre 12 anni collabora con numerose organizzazioni a livello nazionale (associazioni e fondi del mondo Confindustria, ma anche aziende private come Alisea, Nissolino Corsi, ecc.) per monitorare, costruire e tutelare la loro reputazione, sotto ogni aspetto. Esperienze e competenze che hanno persino portato alla strutturazione di un metodo, definito appunto ‘Metodo Zwan, che permetta di applicare questo know-how ad un brand (che sia esso una persona, un’organizzazione o un’azienda), restituendo alla reputazione un valore tangibile e spendibile sul mercato.  

Un’idea che, recentemente, è stata applicata anche al mondo del calcio, portando alla pubblicazione di un rapporto sulla reputazione tra i club italiani e internazionali. Per saperne di più, ne abbiamo parlato con Simone SolidoroReputation Manager di Zwan.  

Iniziamo dal vostro Reputation Rating, algoritmo che analizza la reputazione del sistema calcio in Italia (e non solo). Cosa ci potete dire a riguardo: obiettivi, caratteristiche, aree di analisi, ecc.? 

Reputation Rating è stata una naturale evoluzione del nostro lavoro in Zwan. Lavorando, al fianco dei nostri clienti, proprio per accrescere e tutelare la loro reputazione, ci siamo resi subito conto di come questa fosse percepita, in particolare dai non addetti ai lavori, come un aspetto più ideologico che pratico. Più d’intenti che di effettive iniziative. 

Tuttavia, nel mercato borsistico gli asset legati alla Reputazione valgono oltre i 20 miliardi di dollari. Non stiamo parlando di un concetto nuovo. Molti settori sono da sempre basati sulla Reputazione (assicurazioni, accesso al credito, rischi finanziari, spread). È un concetto complesso, amplificato dall’avvento delle reti. Non a caso fino ad oggi tutti gli strumenti deputati alla misura della Reputazione sono stati in grado di catturarne solo aspetti limitati.  

Il nostro algoritmo brevettato, attraverso un modello di intelligenza artificiale, rende la Reputazione un benchmark tangibileaffidabile e imparziale. Misura e pesa quanto incidono sulla Reputazione i certificati emessi da organizzazioni specializzate nei diversi settori di competenza, incrociandoli con sentiment analysis e media intelligence. Ogni benchmark emesso dal sistema viene salvato in blockchain, in modo che sia immutabile nel tempo grazie al processo di marcatura temporale. 

Per la sua logica trasversale, il Reputation Rating può pesare il capitale reputazionale di brand, organizzazioni – in questo caso di Club di Calcio – e persone fisiche – restituendo al loro quadro reputazionale un valore tangibile. 

Soffermandosi per un momento sul concetto di “reputazione” per un club di calcio professionistico: cosa rappresenta, da cosa dipende, quali vantaggi e rischi annessi? 

Non parlerei di rischi, bensì di opportunità. Quando si considera la Reputazione per tutti gli aspetti che la compongono davvero, si comprende su cosa intervenire nel concreto, quali sono i punti di forza, le aree di miglioramento e i fattori critici dove intervenire con urgenza.  

Ragionare in quest’ottica sistemica ci permette di comprendere che la nostra reputazione, ad esempio, nei confronti dei finanziatori è ottima, ma che abbiamo un problema con la percezione del nostro servizio, o con i nostri iscritti (in questo caso, i fan della nostra squadra di calcio).  

La reputazione di un club di calcio professionistico, così come di una qualunque organizzazione, infatti, deriva sempre da 5 Driver e 5 Stakeholder della reputazione, individuati nel nostro algoritmo brevettato del Reputation Rating (e spiegati più nel dettaglio in questa pagina). 

Difatti, parlare di reputazione al singolare ha poco senso. Ogni conversazione, evento, certificazione o relazione che concorre alla definizione della Reputazione di un’organizzazione può essere ricondotta e analizzata sulla base di due dimensioni: l’oggetto (Driver) e l’interlocutore (Stakeholder).  

La responsabilità sociale è una pratica spesso associata ad una reputazione positiva. Una correlazione che parrebbe essere emersa anche dalla vostra ultima analisi sul calcio in Italia e all’estero, dove i migliori club presentavano una forte componente di sostenibilità (in ogni sua accezione). Confermate questa impressione come un trend comune ed effettivamente reale?  

Esattamente. Questa tendenza, riscontrata nell’analisi del sistema-calcio, conferma il più generale trend che muove il mercato, in ogni settore, da diversi anni a questa parte. 

Quando qualche anno fa, Larry Fink – il CEO di BlackRock, una delle principali società di investimento al mondo – in una lettera ai suoi soci sottolineò la necessità di “guardare oltre il profitto”, stava indicando un concetto molto preciso, inspiegabilmente ignorato da molti: i famosi criteri ESG, e tutto il più ampio cappello di attività riconducibili alla responsabilità sociale, sono e saranno prioritari rispetto ad azioni orientate esclusivamente al profitto. 

Per spiegarci in modo ancora più chiaro: le società di investimento smetteranno di finanziare aziende e organizzazioni che “fanno di tutto per il profitto”, diversamente dal passato dove la crescita dei dividendi per gli azionisti era quasi esclusivamente l’unico criterio per valutare la bontà dell’operato di un soggetto economico.  

Dunque, non ci stupisce che molti Club che si stanno muovendo in questo senso, stanno riscontrando ampie crescite reputazionali, che in altri termini vuol dire “ampie prospettive future”. 

Dando uno sguardo più dettagliato alla vostra analisi, si è parlato di “crollo reputazionale del calcio italiano”. Eppure, da questa situazione sono comunque emersi esempi positivi: Atalanta, Cagliari e Napoli sul podio dei migliori. Potete offrirci un quadro d’insieme sulla Serie A? Quanto “pesa”, in questo, l’assenza/presenza di pratiche di responsabilità sociale? 

Per un dato settore (come in questo caso il sistema calcio), in un dato momento storico, gli asset reputazionali (sempre i 5 Driver e i 5 Stakeholder) possono avere un peso molto diverso. In altre parole, non possiamo pensare che per un club di calcio la responsabilità sociale abbia lo stesso peso della Governance, nel bilancio reputazionale. Parliamo di organizzazioni, nel migliore dei casi, con platee di interlocutori internazionali, costantemente sotto i riflettori. 

Allo stesso modo, più un attore è “importante” ed esposto nei confronti dei propri Stakeholder, più inciderà sulla media reputazionale del suo intero settore. Dunque, “non bastano” i casi virtuosi di AtalantaCagliariNapoliTorino e Roma a pareggiare il bilancio. Nel sistema-Calcio italiano, a pesare in negativo sul crollo, è stato senz’altro il capitale reputazionale di Juventus, Inter e Milan, non solo dal punto di vista ideologico – vedi il caso Superlega – ma anche da quello finanziario (e qui ci riferiamo in particolare alle prime due).  

Per concludere, una considerazione sul calcio europeo. Un contesto che guardiamo con grande attenzione alla ricerca di best practice da studiare e condividere. Anche la vostra analisi ha individuato alcuni club dalla reputazione particolarmente positiva, su tutti Ajax e Lipsia. Società che, guarda caso, puntano forte sulla sostenibilità. Qual è la situazione generale nel calcio europeo? Ci sono altri esempi degni di nota? 

Dall’analisi è emersa una situazione europea in crescita, proprio sull’onda della sostenibilità e della responsabilità sociale. Non a caso (in questo momento scriviamo a distanza di un mese dall’analisi sulla reputazione della Serie A) abbiamo di recente rilevato una crescita della reputazione del Bayern Monaco, proprio in seguito alle dichiarazioni – poco velate – del suo presidente nei confronti del PSG, rimarcando come non pensino che i soldi possano “comprare” dei titoli, riferendosi alla Champions League, sogno sfrenato dei parigini. Non a caso, a parlare è un brand che – seppur di soldi ne abbia e ne spenda molti – lavora da tempo sui giovani, su un sistema di governance sano, e per la propria comunità. Tutto, ancora una volta, premiato in ottica reputazionale.