Sostenibilità ambientale in Serie A – Intervista a Daniele Barbone, Co-Fondatore di Sport & Sustainability International

Sebbene la sostenibilità ambientale stia gradualmente diventando parte integrante di ogni settore della nostra società, ci sono ancora contesti in cui questa dimensione fatica a trovare il giusto spazio. E tra questi purtroppo sembra esserci il calcio.  

La nostra recente indagine CSR in Serie A’ ha infatti evidenziato come tra i club partecipanti alla stagione 2019-2020 solo il 55% fosse impegnato in iniziative “green”, risultando l’area di intervento meno rappresentata tra quelle prese in esame. Un dato decisamente non in linea con le richieste del mondo moderno, che non perde occasione di ricordarci come ci sia bisogno di un impegno comune e deciso da parte di tutti, specialmente di chi ha una responsabilità palese nei confronti della società e il potenziale per avere un impatto positivo. 

Quanto evidenziato ci ha lasciati ovviamente con parecchi dubbi e domande. Perché questa situazione caratterizza il calcio italiano in quest’ambito specifico? Da cosa dipende? E quali possibili soluzioni per migliorarla? Quesiti a cui abbiamo provato a rispondere grazie all’aiuto di Daniele Barbone, imprenditore, scrittore ed ultramaratoneta, co-fondatore di Sport and Sustainability International (SandSI), nonché uno dei massimi esperti in Italia in materia di green economy.  

Sostenibilità ambientale per e attraverso lo sport 

Daniele può essere considerato un vero pioniere di questa materia. Inizia a parlare di tematiche “green” già nel 2005 quando, ammette, “il peso che gli veniva dato non era nemmeno paragonabile a quanto avviene ora”.  

La svolta, poi, nel 2010 grazie alla collaborazione con Mascalzone Latino in un progetto innovativo di sport e sostenibilità ambientale a margine della partecipazione del team velico alla ‘Louis Vuitton Cup’. Un’esperienza che, ci rivela, “ha permesso di scoprire che c’era tutto un mondo che aveva attinenza ed interesse per questo argomento”. Tant’è che il numero di progetti a cui prende parte cresce a ritmo costante: prima il patrocinio del Ministero dell’Ambiente, poi diverse collaborazioni nell’organizzazione di eventi sportivi, tra cui regate e maratone. 

Un impegno diffuso per contribuire a migliorare lo sport e l’impatto che ha sull’ambiente, ma anche attraverso cui lanciare messaggi positivi essendo un “comunicatore universale, amplificatore di concetti e veicolo per arrivare al grande pubblico“. Ed è proprio su questo che Daniele ha deciso di fare leva, forte anche della sua grande passione per la corsa, “la disciplina più naturale e meno impattante che esista”. Portandola anzi all’estremo, con imprese che hanno dell’incredibile: la traversata di sette deserti a piedi, le 48 ore nella Foresta Amazzonica o la più recente 120 km tra diversi comuni piemontesi unita alla divulgazione ambientale per citarne alcune.  

Sport and Sustainability International 

Tra le numerosissime attività, Daniele è anche co-fondatore e ambasciatore italiano di SandSI, organizzazione internazionale no-profit la cui mission è quella di promuovere la sostenibilità nell’industria sport a vari livelli. 

Un percorso nato nel 2015 a margine della Conferenza ONU di Parigi sui cambiamenti climatici di cui Daniele era delegato. Un’occasione per discutere anche di sport e sostenibilità ambientale, che ha permesso ad esperti provenienti da vari Paesi di “rendersi conto che unendo le forze si poteva fare qualcosa di importante”.  

Un’intuizione rivelatasi corretta, visto che SandSI vanta oggi un network di primissimo livello di cui fanno parte organizzazioni del calibro di FIA, Roland Garros e Formula E. A ciò vanno aggiunte numerose attività, tra cui eventi divulgativi necessari a promuovere i benefici di questa pratica e in cui condividere best practice

E poi vari progetti come ‘Football4Climate’, oggetto peraltro di un nostro approfondimento, sottolineando la volontà di contribuire a lasciare il segno anche nel mondo del calcio.  

Calcio e sostenibilità ambientale in Italia: a che punto siamo? 

Ed è proprio questo tema che vogliamo approfondire con Daniele, sfruttandone esperienza e competenza per interpretare quanto emerso dal nostro studio. Un’indagine che, più nello specifico, ha individuato 12 progetti “green” e di valorizzazione del territorio realizzati la scorsa stagione da 11 club di Serie A (anche se solamente possono essere ritenuti “direttamente” implicati in queste iniziative). Non moltissimo, anche se Daniele non sembra sorpreso dal risultato: “Guardando all’Italia, il calcio vive certe dinamiche delle quali però solo alcuni hanno già colto il potenziale legato all’ambiente e alla sostenibilità”.  

Una situazione di cui prova ad offrirci una chiave di lettura, identificando alcuni motivi che potrebbero essere causa di ciò. Inizia dalla questione delle risorse e delle competenze, che spesso limitano le possibilità della maggior parte dei club: “A parte le eccellenze come per esempio Juventus e Inter, quotate in borsa e dotate spesso di team preposti a lavorare su certe tematiche, le società di media classifica il più delle volte mancano di tutto quello che gli potrebbe servire per fare lo stesso”.  

Parla poi del modo di pensare dei club calcistici, “troppo convolti in certe dinamiche e focalizzati all’immediato, impedendo all’ambiente di trovare il posto che merita nella catena delle priorità”. La sostenibilità è invece “qualcosa che richiede lungimiranza, più legata al domani che all’oggi, che ha bisogno di tempo e rivolta prevalentemente alle nuove generazioni”.  

Ci offre, infine, uno spunto interessate relativo all’influenza giocata dagli sponsor, vitali per la sopravvivenza dei club. “Possono essere un importante “boost” quando hanno una visione coerente con il tema della sostenibilità o potrebbero “avere altri interessi e quindi in qualche modo ostacolare certe decisioni. Con SandSI, per esempio, vogliamo avviare una serie di collaborazioni con le squadre di Serie B e Lega Pro, che consideriamo molto vicine alle realtà locali. Queste sono spesso supportate da aziende del territorio, che quotidianamente vivono certe difficoltà e che non possono permettersi di omettere la variabile sostenibilità ambientale. Questo, poi, con la speranza di facilitare un futuro dialogo anche con la Serie A, forti di un’esperienza nelle categorie minori che possa eventualmente fare da riferimento soprattutto per quelle realtà che non dispongono delle risorse dei top club”.  

Varie soluzioni ed un approccio su più livelli 

Impossibile, a questo punto, non provare ad esplorare con Daniele possibili soluzioni per consentire al tema della sostenibilità ambientale di emergere etrovare una posizione di rilievo. Il che appare anche come una necessità, in linea con le richieste dellasocietà moderna e dei tifosi, sempre più attenti a questo argomento, come anche raccontato in un nostro precedente contributo.  

Interessante che Daniele parta proprio dall’engagement degli appassionati, caratterizzati da una “sensibilità latente che deve solo essere portata a galla” e per i quali il calcio può rappresentare un “facilitatore seriocredibile ed efficace”. La sfida vera, in questo, sta nel cercare di realizzare iniziative strutturate e capaci di avere un impatto positivo e rilevante, ma che diventino poi anche prassi, consuetudine: “Si può pensare di coinvolgere i tifosi, per esempio, nella sensibilizzazione all’uso della mobilità sostenibile per andare allo stadio o della raccolta differenziata. Ma una volta iniziato, è difficile che questi vogliano tornare indietro. Quindi diventa essenziale realizzare progetti che abbiano la gittata per sostenersi anche economicamente e organizzativamente”.   

E avendolo toccato, proviamo ad affrontare con Daniele il tema ‘stadi di proprietà’tasto dolente del calcio in Italia, spesso indicato come causa principale dell’arretratezza del nostro sistema anche parlando di sostenibilità. Una questione che ha avuto un certo peso anche nella nostra indagine, avendo notato che il 75% dei club di Serie A proprietari di un impianto fosse in qualche modo impegnato in iniziative rivolte all’ambiente. Praticamente una sentenza, avvalorando la tesi fatta qualche riga fa. Daniele però ci offre un punto di vista leggermente diverso: “Andare ad investire su impianti vecchi e appartenenti ad altri diventa senz’altro un ostacolo, ma questo non può diventare un alibi per rimanere immobili. Ci sono invece una serie di aree legate alla sostenibilità ambientale su cui i club possono agire a prescindere dalla proprietà dell’impianto, come ad esempio i servizi: raccolta rifiuti, mobilità dei tifosi o approvvigionamento energetico. Che è poi, per esempio, quello che vorremmo provare a fare con le società di Serie B e Lega Pro in un percorso pluriennale che li porti a sviluppare sistemi di gestione evoluti”. 

Considerazioni, queste, che fanno emergere un’ulteriore necessità, ovvero la collaborazione con altri attori. Un tema fondamentale e ricorrente, emerso anche in altre aree di intervento (ad esempio l’inclusione sociale) quale soluzione per trattarle nella maniera più efficace. Un’affermazione che trova peraltro ulteriore riscontro guardando ai progetti “green” individuati nella nostra indagine, tutti caratterizzati da una partnership con soggetti esterni (organizzazioni, associazioni o istituti di ricerca). Considerazioni che Daniele condivide: “Fare rete con le realtà territoriali diventa fondamentale. Aziende, ma anche e soprattutto enti locali, che hanno visione sui temi legati, per esempio, alla gestione degli eventi sportivi e a tutto ciò che ci ruota attorno. Il loro coinvolgimento contribuisce fortemente al successo di un progetto, e questo lo posso dire per esperienza personale”. 

C’è infine spazio per un’ultima proposta che riguarda le attività educative e di promozione della sostenibilità ambientale. Quelle che vedono i club assumere il ruolo di agenzie educative al servizio del proprio territorio, ma che purtroppo abbiamo riscontrato essere davvero poco diffuse. Iniziative che per Daniele “devono seguire quelle di impronta maggiormente industriale”, approcciando quegli “ambienti educativi e sociali” nelle quali queste possono avere efficacia, come ad esempio le scuole. Certo è che anche in questo caso è necessario un profondo “cambiamento culturale rispetto a quello che l’educazione sportiva rappresenta in generale, che dovrebbe riguardare più l’educazione e meno lo sport, includendo temi di natura civica”.   

Una sfida ancora tutta da giocare (e vincere) 

Concludiamo la nostra chiacchierata con una considerazione finale che vuole essere un monito per tutto il sistema: “In Italia siamo in ritardo rispetto ad altri Paesi, dove le organizzazioni hanno intercettato da tempo il messaggio delle nuove generazioni, adattandosi ad esso”.  

“Dobbiamo maturare”, prosegue, “soprattutto nell’idea che i temi quali la sostenibilità ambientale richiedono una visione a lungo termine. Abbiamo poi tutta una nuova generazione di atleti che ragiona di questi temi in maniera naturale, e che reputa incoerente quando questi non vengono applicati. Anzi, si trovano in difficoltà se il contesto in cui vivono non si adatta ai loro valori, e questo riguarda tutto ciò che li circonda. E non si parla solo di atleti, ma anche di chi vive lo sport come i giovani appassionati, sempre più sensibili. È una sfida, che riguarda tutti gli addetti ai lavori”.  

E parlando di sport, l’analogia non potrebbe essere più azzeccata. È tempo dunque di scendere in campo e provare a vincerla tutti.